La Pixel Art, con le sue immagini composte da minuscoli blocchi di colore, ha le sue radici nei primi videogiochi degli anni ’70 e ’80, quando limitazioni tecniche hanno reso necessario rappresentare personaggi e scenari attraverso pochi pixel. Questa estetica, inizialmente dettata da vincoli tecnologici, si è evoluta nel corso del tempo, trasformandosi da esigenza pratica a forma d’arte a tutti gli effetti.
Tuttavia, il revival della Pixel Art solleva domande interessanti. Si tratta solo di un ritorno al passato, un omaggio nostalgico ai giochi di un tempo, o di una forma d’arte contemporanea?
Una fusione tra generazioni di videogiochi
Un tempo fu “cathode-ray tube amusement device”: questo è il nome del primo gioco elettronico brevettato. Creato da Goldsmith e Mann e distribuito nel lontanissimo 1947, rappresenta il primo e ancestrale tentativo di utilizzare un sistema computerizzato a scopo puramente ludico.
Da quel tempo, il mondo videoludico si è espanso a dismisura, fino a raggiungere i confini del fotorealismo.
C’è da fare una distinzione fra:
- i giochi sviluppati in un certo modo a causa di limitazioni tecniche legate all’epoca della loro realizzazione;
- i titoli più recenti, sviluppati proprio in quel modo per le scelte stilistiche dei programmatori e degli artisti grafici.
Al primo gruppo appartengono i giochi del passato realizzati con quella che è stata definita “Pixel Art”, a causa della scarsa risoluzione dei monitor. Al secondo gruppo appartengono i videogame sviluppati in ambienti evoluti, che appartengono ad un determinato stile per una precisa scelta degli sviluppatori e non a causa di limitazioni tecniche.
Pixel Art
La Pixel Art ha avuto un impatto straordinario su tutto il mondo videoludico presente, passato e futuro. I videogame realizzati con i pixel ben in vista, in barba al fotorealismo, hanno fatto breccia nel cuore di appassionati di ogni età che continuano a preferirli al melting pot di generi e tecnologie futuristiche tanto care ai best seller attuali.
Le nuove generazioni di videogiochi, quelle con il pad della PlayStation in mano, digeriscono malvolentieri tale discorso, anzi, si aprono facilmente a smorfie se il viso del loro calciatore preferito non è stato riprodotto alla perfezione nell’ultima edizione della Fifa. È giusto che sia così: i titoli più venduti hanno alla base motori grafici di sviluppo così avanzati che non avrebbe senso non sfruttare a pieno. Eppure qualcosa sta cambiando…
Un ritorno al passato
Il rimando alla cultura e alla tecnica che fu cela un sottotesto ben più profondo del semplice gusto per i retrogame: ritornare al passato non significa essere nostalgici, ma significa poter essere molto più felici senza essere alla ricerca spasmodica del nuovo e del diverso.